Fusioni strette, unioni larghe: la provincia sia garante del percorso aggregativo

_MG_5887 copia 2Il dibattito che si sta sviluppando sul futuro assetto istituzionale del nostro territorio è positivo e senz’altro costruttivo.

Il contesto istituzionale, economico e sociale sta attraversando una fase di profondo cambiamento che non può e non deve lasciare indifferenti, ma che necessita di essere governata. Sono in corso fusioni tra istituti bancari, aggregazioni tra enti camerali, associazioni di categoria. Le prefetture sono oggetto di accorpamento e unificazione. La cancellazione delle province. Tutta la macchina statale è in discussione, è il momento di agire con fusioni e Unioni dei comuni.

Per quanto mi riguarda, incoraggio da tempo una riflessione e un passo in avanti sul tema, ispirato dal principio che ho sintetizzato con l’espressione “fusioni strette, unioni larghe”. Significa che, per ottimizzare la gestione delle risorse e degli uffici, le Unioni dei Comuni non potranno che coinvolgere ambiti territoriali ampi (la Valdinievole, la Montagna, la Piana pistoiese). Gli undici Comuni della Valdinievole, in particolare, dovranno iniziare a ragionare come un’entità unica, condividendo servizi qualificanti, investimenti ed opportunità. Il nuovo assetto sarà in grado di funzionare soltanto se sarà “largo” e coinvolgerà tutte le amministrazioni del territorio. L’esperienza non positiva dell’Unione dei Comuni Valdinievole Est – dissolta in un nulla di fatto – ci serva da lezione per non commettere nuovamente gli errori del passato. Al contrario, la Società della Salute in Valdinievole dimostra che la condivisione di servizi essenziali e strategici è non solo possibile, ma consente il raggiungimento di risultati straordinari.

Allo stesso tempo, è prioritario avviare una seria riflessione sulle fusioni di Comuni. A mio avviso, sarebbe fuorviante stabilire come unico criterio il numero di abitanti. Piuttosto, occorre individuare gli elementi fondanti ed identitari del territorio (storia, morfologia del paesaggio e dell’ambiente, struttura dell’ente dal personale ai vincoli di bilancio, viabilità, possibili sinergie…) e procedere partendo da questi elementi comuni. La provincia deve farsi garante e promotrice di questo percorso di aggregazione. Occorre farlo con più forza e convinzione rispetto, ad esempio, al percorso intrapreso per le Centrali di committenza dove i Comuni si sono mossi in ordine sparso. Il presidente Vanni, come compito di mandato, assuma la responsabilità di guidare e gestire il processo: indichi la strada, con l’obiettivo di tutelare le realtà periferiche, i piccoli Comuni, le situazioni di maggior disagio e difficoltà.

L’esperienza chi è riuscito a portare a compimento processi di fusione ci suggerisce, come punto di partenza, di riunificare territori che hanno avuto una storia comune.

Nel nostro territorio, solo per citare alcuni esempi:

• Buggiano e Ponte Buggianese
• Montale e Agliana
• Chiesina Uzzanese e Uzzano
• Montecatini Terme e Pieve a Nievole
• Larciano e Lamporecchio

Ritengo che si tratti di un principio di buon senso, non certo di un dogma inamovibile. Ogni caso deve essere affrontato tenendo conto delle specificità, sensibilità e opportunità del caso. Non esiste una ricetta standard uniformemente applicabile. La fusione, così come l’Unione, deve essere un mezzo per migliorare la vita dei cittadini, non un fine in sé, questo non deve essere mai dimenticato.

La normativa vigente individua risorse molto significative per i Comuni che decidono di fondersi e offre la possibilità di superare per cinque anni il Patto di Stabilità, attualmente un freno insormontabile agli investimenti e allo sviluppo.
Nello specifico, alcuni casi concreti: Pieve a Nievole, Massa e Cozzile, Buggiano, Serravalle e Montecatini potrebbero sbloccare investimenti per decine di milioni di euro. Scuole, asili, interventi contro il dissesto idrogeologico, impianti sportivi, cimiteri, strade: quante cose potremmo realizzare? E ancora: i Comuni che hanno optato per le fusioni, sono riusciti, grazie ai vantaggi offerti dal combinato disposto della normativa nazionale e regionale, ad abbassare le tasse.

Scegliere la strada della fusione vuol dire meno costi, tasse più basse, più opportunità, maggiori risorse e servizi migliori. Da un lato, la fusione consente di razionalizzare la spesa e di ridurre le diseconomie di scala che caratterizzano gli enti più piccoli; dall’altro, garantisce minori costi di personale e organici più adeguati. La Legge di Stabilità 2015, peraltro, ha introdotto ulteriori misure per incoraggiare i processi aggregativi, grazie al superamento, nei primi cinque anni, dei vincoli relativi alle assunzioni. Inoltre sono previste importanti risorse economiche, aggiuntive e straordinarie, per facilitare il processo di fusione, soprattutto nella prima fase, quella di fisiologico assestamento.

Ben 16 Comuni toscani (fra cui Abetone e Cutigliano, Piteglio e San Marcello) stanno avviando le procedure per interpellare i cittadini sulla fusione. Ad oggi, 8 Comuni hanno già scelto di fondersi e, per questo traguardo, il contributo straordinario attribuito alla nostra Regione è pari ad oltre 3 milioni di euro. Il processo di fusione si conferma la soluzione migliore per ottimizzare la gestione dei Comuni e contribuire alle esigenza di finanza pubblica. La politica ha il dovere di non sottrarsi al proprio ruolo e di definire, con lungimiranza e visione strategica, il futuro del nostro territorio. Un processo partecipativo che incoraggi e sviluppi la discussione “dal basso” è fondamentale: l’ultima parola spetta ai cittadini attraverso il referendum. Lo strumento consultivo è importantissimo, ma non può essere l’unico e non deve essere oggetto di strumentalizzazioni politiche.

Il Partito Democratico, che governa in modo pressoché uniforme l’intera Provincia di Pistoia, deve porsi come protagonista di questo processo. Il nostro territorio riparte soltanto se saprà affrontare le sfide dei prossimi anni in modo unitario. Questa è la sfida da vincere, sulla quale si misurerà la nostra capacità di attuare politiche riformiste e di reale cambiamento per il territorio. Dividersi, vorrebbe dire indebolirsi: è l’ora di mettere da parte campanilismi e le inutili rivendicazioni del passato.

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