Programma

Per realizzare un’Italia migliore, occorrono impegno, umiltà e spirito di servizio, non facili promesse né proclami irrealizzabili.

Nessuno è in possesso della bacchetta magica con la quale risolvere all’istante tutti i problemi. Quello di cui abbiamo bisogno, piuttosto, è di un’opportunità per rimettere in moto le energie e l’entusiasmo che da sempre animano e fanno grande il nostro Paese.

Dobbiamo ripartire dagli italiani e dal loro formidabile talento, dai Comuni, dagli enti locali, dal lavoro delle aziende e dalle associazioni del Terzo settore.

In questo documento, ho cercato di sintetizzare le idee per il Paese che vogliamo lasciare in eredità ai nostri figli. Ho immaginato una Società più equa e più giusta, nella quale tutti possano realizzare le proprie ambizioni e far crescere il proprio potenziale, senza rassegnarci all’idea che le nuove generazioni vivano peggio dei propri padri.

Questa è l’Italia che sogniamo e che, insieme, sono certo potremo realizzare: basta volerlo.

Discorso all’Italia di un trentenne

Stiamo vivendo un’epoca di grandi cambiamenti, ciò implica forti difficoltà ma anche nuove opportunità. Dobbiamo essere pronti a coglierle e dobbiamo avere coraggio e un po’ di spregiudicatezza per poterlo fare. E’ importante la consapevolezza che il nostro voto è il primo momento per determinare un reale cambiamento.

Dobbiamo lavorare insieme: per le nuove generazioni, per il nostro Paese, per modificare uno stato di cose che non è più sostenibile. Non possiamo farci ingannare ancora dalle “sirene”  che ci hanno “incantato” negli ultimi 20 anni: altro che un milione di posti di lavoro, negli anni dal 2008 al 2012 ne abbiamo persi un milione e mezzo. Questo è il primo punto da cui iniziare a lavorare. Le statistiche ci dicono che più di un giovane su tre non ha un impiego fisso: si tratta di un dato allarmante, che non possiamo permetterci di ignorare. Senza un’occupazione, infatti, non è possibile progettare, vivere e sognare un futuro autonomo e indipendente.

I nostri genitori, quando erano ragazzi, avevano meno ricchezza individuale rispetto alla nostra generazione, ma, attraverso l’impegno e lo studio, erano in grado di immaginare un futuro più favorevole, in cui potersi riscattare, al fine di migliorare la propria condizione di vita. A noi questa speranza rischia di essere negata, per questo dobbiamo intervenire subito, per generare uno sviluppo economico in grado di fornire nuove opportunità di crescita.

Chi fa Politica deve occuparsi proprio di questo: di lavoro, di problemi reali, degli asili nido, della scuola, delle infrastrutture, della sanità.

In questo mi rivedo nella figura di Matteo Renzi, perché entrambi, come amministratori locali, ci siamo confrontati con i nostri concittadini sui temi che interessano davvero la vita delle famiglie. Se sarò eletto, farò tesoro di questa esperienza e la porterò in Parlamento. La Politica ha il dovere di tornare ad essere credibile e deve dare il “buon esempio”. Cominciando con il riformare se stessa.

Ecco alcune delle misure che mi sentirei di sottoscrivere per cambiare l’attuale assetto parlamentare:

- il Parlamento: la sede della rappresentanza, in cui si riflette la sovranità popolare, è oggi tra le istituzioni più denigrate e screditate, anche perché è inefficiente. Dobbiamo equiparare le indennità dei parlamentari alle indennità dei Sindaci. Si tratta un punto di partenza, non di arrivo;

- il sistema elettorale: adottiamo per il livello nazionale un modello che consenta ai cittadini di scegliere chi li governa, come già accade nelle nostre città, dove l’elezione diretta dei Sindaci ha prodotto ottimi risultati. I deputati devono essere scelti direttamente dagli elettori e, allo stesso tempo, i cittadini devono poter scegliere un Premier messo in condizione di governare;

- i privilegi: aboliamo tutti i vitalizi. La Politica torni a essere assolvimento di un dovere civico e non una forma di assicurazione economica. Non possiamo più giustificare la “giungla” delle retribuzioni fai da te, per cui ogni Regione decide in autonomia. I consiglieri regionali devono avere un compenso e un budget per le attività di servizio uguale in tutte le regioni, comprese quelle a Statuto speciale. Deve essere definito il “costo standard” per il complessivo funzionamento delle assemblee legislative regionali. Un principio che dovrebbe essere adottato a tutti i livelli, non solo per i costi della Politica locale. Il Partito Democratico, grazie alle primarie, ha dato una risposta a questo sistema elettorale inadeguato, osteggiato dagli elettori perché incomprensibile e fonte di grande instabilità.

Sono stato tra i sostenitori della prima ora di Matteo Renzi, convinto che potesse dare un contributo importante al nostro Paese. Pur non risultando vincitore nel confronto con Pier Luigi Bersani, il Sindaco di Firenze ha generato una trasformazione del modo di pensare della gente e ha offerto una scossa positiva all’intero sistema, suscitando un rinnovato entusiasmo in tantissime persone, giovani in particolare, che si sentivano ormai esclusi dalla Politica.

Renzi è stato di parola. Pur sconfitto, ha proseguito il proprio cammino politico garantendo lealtà e appoggio al vincitore, Pier Luigi Bersani che, a sua volta, è stato di parola: non ha penalizzato gli “sconfitti”. Alle primarie per i parlamentari, tutti abbiamo potuto concorrere alla pari. Il mio risultato a Pistoia e in Valdinievole (3.302 preferenze) è la riprova di un clima costruttivo, che ha premiato i giovani, le donne, i tanti volti nuovi.

L’Italia del merito

Il nostro Paese sta pagando un prezzo altissimo alla burocrazia, fenomeno che ci rallenta e rischia di emarginarci in Europa e nel Mondo.

In uno dei miei primi incontri, durante le primarie per i parlamentari, ho ascoltato un racconto a Limestre che mi ha amareggiato e fatto riflettere. Per ricevere le risposte e le autorizzazioni ad aprire un nuovo stabilimento, una fabbrica del territorio ha dovuto attendere, in Italia, il doppio e il triplo del tempo rispetto ad altri stati membri dell’eurozona (Francia e Polonia), per questo motivo non ha potuto aprire un nuovo stabilimento in Italia, dunque ha rinunciato ad assumere e ad investire.

L’economia italiana nell’ultimo anno è stata un campo di battaglia su cui sono cadute 216 mila aziende. Il rapporto di Rete Imprese Italia è chiaro e la burocrazia richiede 120 adempimenti fiscali e amministrativi all’anno, uno ogni 3 giorni.

Ridurre la burocrazia è una priorità per il nostro Paese. 

Dalla Pubblica Amministrazione agli enti di secondo livello, sono tanti i settori e le aree su cui procedere ad una razionalizzazione, la cosiddetta spending review. Migliorare i servizi e ottimizzare la spesa, abolendo tutte le situazioni di ambiguità amministrativa, giova sia all’efficienza dei processi che alla loro economicità. Il problema non può semplicemente essere risolto cancellando un ente o un livello istituzionale, ad esempio le Province. Si rischia di fare demagogia, più che buona Politica.

Dobbiamo uscire dalla logica dei tagli lineari, piuttosto dobbiamo tagliare gli sprechi e premiare chi è stato in grado di gestire la spesa in modo efficiente.

Occorre scommettere sulle tante eccellenza del nostro Paese, in moda da generare uno sviluppo positivo e dinamico. Investiamo sull’università e sulla ricerca e facciamo sì che i nostri insegnanti diventino la spina dorsale dell’Italia, per tornare a parlare di merito realmente e senza finzioni, per investire su noi stessi e sull’Italia, con progetti che creano occupazione tra i giovani, le donne e gli over 55.

Un fisco più equo

Non è possibile ridurre le tasse per tutti da subito: sarei poco credibile se dicessi il contrario. Il nostro compito è ripartire da un sistema fiscale più equo.

Il cuneo fiscale deve essere subito ridotto, in modo da consegnare più soldi in busta paga ai lavoratori. Non è possibile che, quando si chiedono sacrifici, i primi a farne le spese siano sempre dipendenti e pensionati. La forbice fra i ricchi e i poveri rischia, altrimenti, di allargarsi ulteriormente e in modo sempre più drammatico.
Questa tendenza va invertita, chi ha di più deve dare di più, altrimenti non usciremo dalla crisi. Alleggerire l’Irpef per le persone fisiche e l’Irap per le aziende ritengo che sia possibile. Oltre a far ripartire il mondo delle imprese, infatti, è prioritario ricostituire il mercato interno, altrimenti depresso e piombato ai livelli di quasi 20 anni fa.

La progressività dell’imposta sulle persone fisiche deve essere il punto di partenza più di qualunque misura.

L’IMU è già una sorta di patrimoniale. Non credo che serva, per il futuro, introdurne di nuove, né si può pensare di abolirla del tutto. Caso mai, va rimodulata e va introdotta una franchigia di 500 euro sotto la quali si è esenti dal pagamento. L’imposta sulla casa, peraltro, rischia di far passare le amministrazioni comunali per severi esattori delle tasse, ovviamente contro il proprio volere.

Sarebbe opportuno concentrarsi sulle grandi rendite finanziarie, cercando di limitarle anche attraverso accordi internazionali che, da un lato, impediscano di possedere capitali in Paesi esteri senza che siano tassabili (penso ad esempio ad un accordo con la Svizzera), dall’altro promuovano a livello europeo forme di tassazione virtuosa per riqualificare l’ambiente e scoraggiare il cattivo uso del territorio.

Dobbiamo rimettere in moto l’economia e il mercato interno. Penso alle liberalizzazioni, all’utilizzo del patrimonio pubblico e soprattutto occorre sostenere il potere d’acquisto delle famiglie e un credito garantito e “calmierato” per le aziende. Infine, regole chiare e semplici per permettere forme di finanza dal basso, ovvero non speculativa, ma basata su idee e progetti (crowdfunding).

Green economy e innovazione tecnologica

La questione del lavoro è fondamentale. Per dare nuova linfa e nuove speranze al nostro Paese, io credo tantissimo in forme di sviluppo diverse dal passato.

Ritengo che efficienza energetica ed innovazione tecnologica, insieme a turismo ed agricoltura di qualità, siano temi fondamentali da cui partire per proporre una forte e decisa via italiana alla green economy e creare nuovi posti di lavoro. Vuol dire far incontrare il meglio delle nostre vocazioni – la bellezza delle città e del paesaggio, il sistema dei parchi, la creatività che ha fatto grande il made in Italy, la coesione sociale – con le frontiere dell’energia pulita, del produrre senza inquinare, del risparmio energetico, della mobilità sostenibile. In altre parole, qualità e sostenibilità al servizio di una nuova idea di futuro e di sviluppo dell’Italia.

E’ un settore su cui investire fin da subito. L’Italia deve puntare sulle energie rinnovabili, così da risparmiare sulle importazioni di petrolio e ridurre rapidamente l’inquinamento atmosferico. Le amministrazioni pubbliche possono iniziare a dare il buon esempio: tetti fotovoltaici a copertura di edifici pubblici, auto ibride ed elettriche, scuole riqualificate e valorizzate tenendo conto del risparmio energetico come linea guida ineludibile. E’ necessario un piano di ristrutturazione degli edifici pubblici, in primis scuole e ospedali, per renderli più moderni e più efficienti, a prova di rischio sismico e totalmente ecocompatibili.

Gli imprenditori del settore non possono essere lasciati da soli: servono incentivi, programmi a lungo termine e regole chiare e certe. Rendere permanenti alcune misure è fondamentale: dall’incentivazione del 55% per gli interventi energetici negli edifici, al 50% per le ristrutturazioni edilizie. Proprio questi temi della ristrutturazione e riqualificazione degli immobili sia pubblici che privati, insieme alla domanda di certificazione energetica per gli edifici, possono costituire un volano per far ripartire l’edilizia.

I primi ad essere convinti che il futuro dell’edilizia non stia più nel mattone stesso sono proprio gli addetti ai lavori.Sia le associazioni edili, che quelle degli agenti immobiliari concordano nel dire che il futuro prevede la ristrutturazione del patrimonio edilizio esistente, rendendolo più sostenibile e usando tecniche diverse dal passato, che si rifanno alla bioedilizia, dunque implementando materiali meno impattanti per l’ambiente. La certificazione energetica degli edifici deve diventare non un mero adempimento burocratico, ma una vera e propria opportunità per rendere più appetibile una struttura.

Anche pensare a forme di alleggerimento dell’IMU è un modo per introdurre un primo principio di fiscalità ecologica basato sull’idea che chi inquina meno e chi è virtuoso paga di meno. Ammodernare una struttura abitativa adottando criteri e standard energetici molto meno inquinanti deve costituire un obiettivo comune a tutti: dal proprietario alle amministrazioni, instaurando così un legame e una visione comune tra interessi pubblici e privati.

E’ giunto il momento di definire un piano decennale per l’efficienza energetica, superare gli obiettivi attuali e adeguarli a quelli europei, per programmare il fabbisogno e il passaggio nei prossimi 20-30 anni dalle fonti fossili (carbone, petrolio, gas) alle fonti rinnovabili (solare, eolico, biomasse), tutelando i terreni agricoli e il paesaggio.

E’ necessario scommettere (sul serio) sulla raccolta differenziata e il riciclo, anche con campagne di sensibilizzazione a partire dalle scuole. Occorre una riforma del settore andando verso la definizione di un’Authority e di un sistema industriale nazionale che coinvolga i principali operatori del settore. Per questo, bsogna introdurre meccanismi fiscali che rendano meno conveniente smaltire in rifiuti in discarica e che, allo stesso tempo, penalizzino il consumo eccessivo di imballaggi. Sicuramente, è opportuno semplificare le procedure per le imprese, ma nel contempo è necessario rinforzare la parte relativa ai controlli ambientali. Sul versante della legalità è fondamentale introdurre i reati ambientali nel codice penale.

Un altro passaggio urgente riguarda le infrastrutture. Non ha senso, salvo qualche caso ben ponderato economicamente e condiviso politicamente e socialmente, pensare ancora a grandi opere pubbliche: l’unica vera grande opera pubblica sono i piccoli e medi interventi per mettere in sicurezza il territorio. In Italia, il rischio frane e alluvioni interessa praticamente tutto il Paese (due Comuni su tre): Calabria, Umbria e Valle d’Aosta sono le regioni più minacciate, insieme alle Marche e alla Toscana. La causa è nota: un territorio estremamente fragile, in cui semplici temporali provocano continui allagamenti e disagi per la popolazione. I cambiamenti climatici in questi anni sono diventati evidenti a tutti, purtroppo, possiamo toccare con “mano” quanto i fenomeni atmosferici siano diventati “devastanti” anche alle nostre latitudini.

Sostenibilità e qualità devono essere coniugate all’ambiente, ma devono diventare anche un criterio di sviluppo dei nostri centri urbani. Città intelligenti con reti intelligenti, un concetto che non può semplicemente fermarsi al numero di abitanti e alla estensione territoriale di un centro urbano.
Montecatini Terme crede in questo tipo di sviluppo e con l’iniziativa Città Smart abbiamo inteso spiegare cosa vuol dire “città intelligenti”. Anche grazie al contributo di Anci Giovane siamo riusciti a portare in città i più grandi esperti nel settore dell’innovazione all’interno della Pubblica Amministrazione. Ritengo che sia stata un’occasione unica: guardare al futuro con un’attenzione rivolta ai bisogni delle nuove generazioni. Vivere una Città Smart significa garantire servizi di alta qualità a costi contenuti. Alcuni esempi: internet a banda larga in tutte le aziende, le famiglie e le associazioni, wi-fi in gran parte del territorio comunale, bike sharing, varchi elettronici di accesso alla zona a traffico limitato, insegne luminose volte a indicare la disponibilità di posti auto in tutti parcheggi. E in futuro magari colonnine per auto elettriche, sistemi integrati smart grid per lo scambio intelligente di energie tra condomini e tra utenti autosufficienti, realizzando un reale principio di “generazione distribuita”.

Infine, voglio aggiungere qualcosa anche sul turismo e sull’agricoltura.

Negli ultimi venti anni l’Italia ha perso quote di mercato, passando dalla prima alla sesta posizione come destinazione turistica nel mondo. Dobbiamo tornare ad essere competitivi. Adottando una strategia mirata, il turismo può fornire un contributo alla crescita del PIL nazionale di 0,5 punti l’anno e produrre in cinque anni almeno duecentomila nuovi posti di lavoro. Occorre rinnovare la nostra offerta e riqualificare la ricettività alberghiera.

A Montecatini Terme, nel prossimo settembre, si svolgeranno i Mondiale di Ciclismo. La paternità dell’idea è del sindaco Giuseppe Bellandi, che per ottenere il successo della città ha deciso di proporre la candidatura dell’intera Toscana. Abbiamo dimostrato di saper fare un passo indietro, ma per fare una generazione di passi in avanti. Questo è il messaggio positivo che intendiamo trasmettere attraverso la nostra candidatura.
Montecatini da sola non ce l’avrebbe fatta, mentre in questo modo è riuscita a vincere la battaglia. Nel 2013, così, avremo a disposizione un brand dal fascino incredibile, una vera e propria calamita per i media e per mettere in vetrina le nostre eccellenze.

Ma anche valorizzare il sistema agricolo e forestale, così come quello dei parchi e delle riserve ambientali e comunitarie (penso al Padule di Fucecchio), rientra nella promozione del brand Italia. Il sostegno all’agricoltura di qualità e multifunzionale, quale presidio strategico dell’eccellenza italiana e della difesa del territorio e la tutela del prodotto agro-alimentare italiano nel mondo contro i falsi prodotti italiani, servono in primo luogo a recuperare fette di mercato che spettano ai prodotti della nostra terra. In Valdinievole ci stiamo provando: l’inaugurazione del Mercato della Terra, laddove si trovava il vecchio mercato contadino, da un lato costituisce il recupero di una “vecchia sana tradizione”, dall’altra è il riconoscimento che valorizzare la filiera dei prodotti a km 0 non è un ritorno al passato, ma il consolidamneto di una nuova economia basata sulla qualità e sulla sostenibilità.

Diventare cittadini europei

Secondo una recente indagine condotta a livello europeo, oltre il 90% delle Piccole e Medie Imprese (PMI) ha dichiarato di aver realizzato almeno un’azione per migliorare la propria efficienza energetica, mentre l’80% dichiara che nuovi investimenti saranno avviati nei prossimi anni. Per il 33% delle PMI intervistate, si tratta d’interventi che assumono un valore prioritario nelle proprie strategie aziendali.

Questi e altri segnali ci dicono che la “fase due” delle politiche per la green economy è ormai cominciata. L’impegno europeo in campo energetico e ambientale non è stato indebolito dalla crisi. Sappiamo che già da un paio d’anni la Commissione Europea ha presentato la nuova strategia per la crescita (“Europa 2020″), proponendo non solo un insieme di obiettivi e politiche di recupero dalla crisi, ma il disegno di un diverso modello di sviluppo per leconomia europea. Una strategia ambiziosa, di medio-lungo periodo, che mette al centro conoscenza e innovazione, efficienza ambientale, occupazione e inclusione sociale.

“Europa 2020″ identifica un numero limitato di obiettivi concreti e misurabili da raggiungere entro l’anno 2020, tra i quali la sostenibilità in termini di efficienza e risparmio energetico assume un ruolo di tutto rilievo. In coerenza con le politiche europee, la formula fortunata del 20-20-20 è diventata la linea guida per lo sviluppo dell’Unione: la riduzione del 20% delle emissioni di anidride carbonica rispetto al dato del 1990; la copertura attraverso le fonti rinnovabili del 20% dei consumi energetici; il risparmio del 20% dell’energia utilizzata rispetto ai trend attuali. Nell’ipotesi di politiche in grado di assicurare effettivamente il raggiungimento degli obiettivi 20-20-20, gli studi e le stime disponibili indicano rilevanti impatti occupazionali nei settori direttamente coinvolti – soprattutto legati alle rinnovabili e al risparmio energetico: circa 2,8 milioni di nuovi posti di lavoro nell’insieme delle energie rinnovabili al 2020, e 3,4 milioni entro il 2030, secondo uno studio del 2009 promosso dalla Commissione Europea e che costituisce un punto di riferimento in materia. Dimensioni e caratteristiche analoghe sono attese dagli interventi di efficienza energetica e in particolare nel settore delle Costruzioni. L’Italia deve saper cogliere queste opportunità.

Questa è l’Europa che vogliamo.

L’Europa del lavoro, dei diritti, della collaborazione tra i popoli e gli Stati. Il nostro Continente è l’unica realtà che può consentire di fronteggiare le nuove grandi potenze, (BRIC: Brasile, India, Cina e non solo) che hanno affiancato le altre già esistenti (Stati Uniti, Russia, etc).

Il premio Nobel per la Pace del 2012 ha dimostrato che l’Europa ha tutti i numeri per essere protagonista in una stagione geopolitica internazionale di pace, ma deve avere più “forza” e i cittadini europei debbono guardarla con più fiducia. Si tratta di attribuire all’Unione Europea maggiori compiti, non solo economico-finanziari, ma anche di politica estera e di difesa comune. Per far questo servono nuove figure politiche all’interno dell’Unione, a partire da quella di una sorta di Premier europeo, eletto da tutti i cittadini, ovvero una figura che sommi le cariche di Presidente della Commissione e di Presidente del Consiglio europeo.

Anche sul tema dei grandi capitali, l’Europa deve svolgere un ruolo regolatore e di garanzia, capace di scongiurare intrecci pericolosi tra potere bancario, economico-finanziario e politico.

A fare le spese delle crisi dei grandi gruppi bancari non possono essere sempre e solo i contribuenti, che hanno dovuto sostenere sistemi nazionali inefficienti e mal vigilati. Per far fronte a questo problema la Commissione europea ha proposto l’integrazione della vigilanza europea presso la BCE: è un passo importante, che abbiamo il dovere di sostenere. Ma anche questo non basta. Ci vuole anche un sistema integrato di risoluzione delle crisi bancarie, a livello di unione monetaria, che riduca i costi per i contribuenti e favorisca soluzioni più efficienti e di mercato.

Partecipazione e Terzo Settore

Da sempre sostengo la partecipazione come una delle modalità principali dell’agire Politico. Si tratta di un processo che non si esaurisce nella Istituzioni, ma cerca il coinvolgimento pratico ed emotivo dei cittadini intorno a temi di cui stabiliscono essi stessi la rilevanza. Per cambiare, per migliorare sono indispensabili l’impegno e la partecipazione di tutti.

La sfida consiste nel valorizzare e nel riuscire a far emergere le istanze delle fasce più deboli della società. Porto come esempio significativo la disabilità: sono rare le occasioni di fare cultura attorno a questo tema, ma l’approccio dello “sviluppo umano” è alla base della scommessa del Partito Democratico. Esso dà valore alla libertà sia come attributo individuale, che come impegno sociale, all’uguaglianza delle capacità fondamentali, alla solidarietà come responsabilità di tutti gli uomini e le donne gli uni per gli altri e verso la società.

Tutti i soggetti che si collocano in una posizione di debolezza debbono essere destinatari di una particolare attenzione. Questo è il “principio di pari opportunità”.

In Italia abbiamo le migliori leggi in tema di assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone disabili per la qualità della vita, la prevenzione, la riduzione e l’eliminazione delle barriere architettoniche e culturali, ma il nostro impegno è quello di realizzare Politiche volte a sostenere anche la capacità di autodeterminazione dei cittadini e rafforzare il potere di scelta per migliorare l’aderenza dei servizi ai bisogni.
Purtroppo la realtà attuale è che le persone con disabilità, e conseguentemente le loro famiglie, sono quelle che hanno più probabilità di vivere in condizioni di povertà, economica e sociale, poiché la disabilità è l’handicap che impedisce la piena partecipazione delle persone alla vita della comunità, specialmente se non sono disponibili servizi adeguati.

Ci troviamo di fronte a nuove difficoltà, da affrontare con interventi che vanno in direzione opposta rispetto a quella intrapresa dalla destra, sopratutto di fronte all’aumentare dei problemi della non autosufficienza che con l’invecchiamento investono una quota crescente della popolazione, determinando un maggiore carico di cura. Ritengo fondamentale un adeguato e realistico reintegro del fondo della non autosufficienza, che permetterebbe di rispondere ai bisogni assistenziali delle persone non autonome. Oggi questi servizi sono soggetti a grosse riduzioni e il carico assistenziale della famiglia grava soprattutto sulle donne.

La nostra società si è sviluppata affidandosi al “giorno per giorno”, non investendo sul futuro ma dando risposte parziali, spesso improvvisate. La sistematica riduzione dei finanziamenti sociosanitari ha mostrato la volontà di ridimensionare il welfare utilizzando sempre di più le famiglie come ammortizzatore sociale.
Le persone disabili in Italia sono 2 milioni e 600.000, pari al 4,8% della popolazione . Tra di loro un numero altissimo è incapace di provvedere a se stesso senza un consistente aiuto.

La crisi economica ha avuto un impatto negativo amplificato sulla società italiana, in termini di erosione degli standard di vita e di accentuazione dell’incertezza circa le prospettive individuali e familiari. Il nostro paese sconta gli effetti di un prolungato periodo di bassa crescita. La situazione è ora aggravata dai drastici tagli ai servizi e al Fondo per le politiche sociali disposti dal governo di destra. Si sta così compromettendo il futuro del Paese e soprattutto delle categorie più deboli.

Occorre dare risposte strutturali, per garantire un futuro di autonomia alle persone non in grado di provvedere da sole alla propria cura. E’ necessario trovare risorse e sinergie: la questione va affrontata al più presto, esistono già tante situazioni di emergenza che attendono una risposta. In questo senso, esperienze significative sono nate da un lungo lavoro sul campo delle associazioni di famiglie e del volontariato, progetti per il “durante e dopo di noi”. I risultati di questo impegno devono trovare solidità e sicurezza nei finanziamenti.

Negli anni scorsi la Regione Toscana ha individuato nelle Fondazioni di Partecipazione i soggetti idonei a svolgere una parte importante nella realizzazione di servizi e risposte diversificate a favore delle persone con disabilità. Si tratta di un’esperienza da sostenere e da sviluppare, perché può rappresentare uno strumento che coniuga flessibilità e qualità nelle risposte.
Le Fondazioni possono, infatti, garantire il corretto equilibrio tra glli Enti pubblici le reti familiari e associative, realizzando l’integrazione tra pubblico e privato.

Il compito della Politica e delle istituzioni è offrire soluzioni ai problemi dei cittadini, per cui il dialogo con il Terzo Settore è un’opportunità di confronto e collaborazione.

Ritengo che sia importante l’impegno nel portare avanti la proposta di legge del Partito Democratico, sul “Dopo di noi”, (già  iniziativa del deputato Livia Turco ed altri parlamentari), ferma in parlamento da alcuni anni. Una delle questioni centrali è di istituire un Fondo per l’assistenza che garantisca il finanziamento di programmi di intervento, svolti da associazioni o Fondazioni, volti al sostegno e il supporto delle persone non autosufficienti, per offrire loro risposte di cui necessitano.
Nella proposta di legge sono previste azioni di sostegno allo sviluppo di piani di apprendimento o di recupero di capacità di gestione della vita quotidiana per diversi livelli di disabilità; il finanziamento di progetti per la creazione di famiglie-comunità, di case-famiglia, di soluzioni alloggiative in cui inserire progressivamente le persone afflitte da disabilità grave, compresi gli oneri di acquisto, locazione e ristrutturazione.

E’ importante, infine, affermare il riconoscimento giuridico dello stato di “caregivers” , ovvero di persona che assiste il proprio caro, come già esiste negli altri Paesi europei e conferisce dignità giuridica a chi dedica la propria vita per la cura e l’assistenza dei propri cari

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